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mariafelice

 

 

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       IL GATTO MAO la favoletta

Il Gatto Mao era un povero gatto, praticamente un gatto di nessuno. Si dice "povero" solo perché era spelacchiato e, ogni tanto con un occhio pesto, ma per il resto lui si riteneva un gatto fortunato e benestante. Durante le battaglie notturne contro gli altri gatti per la conquista, o di una lisca di pesce, o di una micia (non c'è differenza) la vinceva quasi sempre lui. Vinceva per furbizia non per forza, ma si sa, quello che conta a questo mondo è il cervello, non i muscoli. Gli altri gatti perciò si tenevano alla larga da lui e, quando potevano, svicolavano. 

 

Le donne dei caseggiati intorno al cortile lo viziavano perché faceva pena tutto così spelacchiato e ferito, con quell'aria da derelitto che inalberava quando gli faceva comodo, perciò davano da mangiare sempre a lui per primo, tenendo a bada la corte degli altri affamati miagolanti che avevano il permesso di accedere al pasto solo dopo che il gatto Mao si era ben saziato.

 

Quand'era febbraio, il gatto Mao, non badava più tanto al mangiare quanto ai sentimenti delle micie del circondario che parevano tutte infatuate di lui, così brutto e spelacchiato. Gli altri gatti crepavano d'invidia e non potevano darsi pace. Le lotte notturne erano furibonde. Lotte di prestigio: lui, Mao, da una parte e tutti gli altri contro. Pareva impossibile che potesse averla sempre vinta. Eppure vinceva e qualche micia doveva accontentarsi degli altri gatti perché risultava in soprannumero. Osservando il gatto Mao si potrebbe dire che i vecchi proverbi hanno ragione: "Non è bello quel ch'è bello, ma è bello quel che piace". E il gatto Mao piaceva. Forse piaceva proprio per quella sua ineguagliabile furbizia, conferitagli da madre natura per ragioni di sopravvivenza. A lui sì, a tanti altri no. La vita è fatta così.

LE RICETTE DEL GATTO MAO